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Tutti gli esseri viventi sono anche esseri sognanti. Il sogno lega il genere umano a se stesso.
– Jack Keruac
Paesaggi alienati, ricordi di infanzia, figure trasfigurate, enigmi complessi, conversazioni prive di significato, impulsi emotivi, immagini distorte, desideri inattesi. Pressoché ogni essere umano ha esperito ciò nel corso della sua vita. Il sogno d’altronde è un fenomeno endemico nel mondo biologico. Oggi sappiamo che tutti gli esseri viventi oltre una certa soglia di complessità cerebrale esperiscono una vita onirica attiva. Mammiferi di ogni sorta, vari uccelli e probabilmente anche organismi di complessità inferiore. Tuttavia un pregiudizio diffuso tende a considerare questo fenomeno come un aspetto marginale del percorso esistenziale di una persona e della sua vita mentale.
E’ stato calcolato che un essere umano in normale stato di salute cerebrale trascorre sognando oltre il 25% delle sue ore di sonno. Essendo la durata media del sonno di circa 8 ore, se ne deriva che un essere umano trascorre sognando circa 2 ore al giorno, ossia 730 ore annuali, il che equivale ad esattamente un mese di sogno all’anno. Se si moltiplica tale dato per l’aspettativa di vita media (che in Italia è di 81,37 anni) se ne deriverà che dedichiamo al sogno circa 59.400 ore, pari a quasi 7 anni della nostra vita (come se andassimo a dormire a 10 anni e ci svegliassimo a 17). In altre parole, sette anni della nostra vita non sono altro che sogno. E l’universo allucinato dei nosti sogni, con tutte le immagini, le voci e i simboli che lo popolano, è di fatto la realtà entro cui trascorriamo circa 7 anni della nostra vita.
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Sebbene riferimenti al sogno siano presenti nel nostro patrimonio culturale sin dalle civiltà pre-classiche, abbiamo dovuto attendere fino agli anni ’50 del Novecento affinché un approccio rigoroso, quello delle neuroscienze cognitive, offrisse una descrizione quantitativa e sperimentalmente fondata dei processi neurobiologici che vi sottendono. Oggi sappiamo che il sogno è strettamente correlato con la fase REM (Rapid eye movement), ossia la fase del sonno caratterizzata da movimenti rapidi e casuali degli occhi. Questa correlazione è basata sul solido fatto sperimentale che il 95% dei pazienti svegliati sperimentalmente durante la fase REM riportano di aver sognato, contro il 5-10% di pazienti svegliati durante la fase non-REM.
Questo processo è attivato da popolazioni neuronali del tronco encefalico, corrispondenti al cosiddetto “ponte di Varolio” (per gli amici “ponte”), le quali rilasciano un neurotrasmettitore chiamato acetilcolina, il quale è anche coinvolto nei processi di attenzione. Questo neurotrasmettitore viaggia attraverso tutto il cervello fino a raggiungere alcune aree del prosencefalo ossia alcune tra le aree cerebrali deputate a processi mentali di maggiore complessità come il linguaggio, la memoria e l’attenzione.
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Secondo questo modello (chiamato Activation-Synthesis Model) le aree più “intelligenti” del cervello vengono attivate da aree meno complesse attraverso un vero e proprio bombardamento di informazioni frammentarie e destrutturate. Sentendosi chiamate in causa, esse cercano di caricare di senso e struttura queste informazioni frammentarie, sintetizzando quell’attivazione insensata attingendo alle risorse del linguaggio, della memoria (soprattutto di quella a lungo termine) e del riconoscimento facciale. Tale sintesi, tuttavia, non è mai totale. E’ per questo che nei nostri sogni la demarcazione tra insensatezza e sensatezza è sempre un confine labile. Ed è su questo equilibrio instabile tra il messaggio insensato inviato dai neuroni del ponte e la sintesi del prosencefalo che si regge l’universo allucinato dei nostri sogni, dove immagini e parole si sviluppano lungo la linea sottile tra il sense e il non-sense, tra coscienza e subconscio.
Secondo alcuni scienziati, l’Activation-Synthesis Model rappresenterebbe una parziale conferma della teoria pseudoscientifica dell’interpretazione dei sogni, sviluppata da Sigmund Freud e dalla scuola psicoanalitica. Secondo il sudafricano Mark Solms, sostenitore di questa congettura, l’attivazione colinergica da parte dei neuroni del ponte corrisponderebbe a quella che Freud chiamava la componente motivazionale, mentre la sintesi nel prosencefalo corrisponderebbe a quella che Freud chiamava “regressione”. Per la maggior parte dei neuroscienziati, tuttavia, questa congettura è poco più che una strategia di marketing voluta dalla lobby dei divani.
Ancora un gran numero di domande restano da rispondere per le neuroscienze dei sogni. Anzitutto qual è l’origine evolutiva di questo fenomeno, ossia se si tratta soltanto di un epifenomeno, cioè un “effetto collaterale” dell’avere cervelli abbastanza complessi da supportare la fase REM, o se invece la selezione naturale possa avere favorito gli organismi aventi questa capacità. Secondo i sostenitori del “darwinismo onirico” come la psicologa di Harvard Deirdre Barrett, la facoltà di sognare ha un chiaro vantaggio adattivo in quanto esso estende le capacità immaginative della nostra mente. Non è un caso che grandi opere letterarie (come il Finnegan’s Wake di Joyce), artistiche (come molti dipinti di Escher, Rousseau e Dalì), nonché importanti scoperte scientifiche (come quella della struttura molecolare del benzene da parte di Kelkulé) sono prodotti dell’attività onirica.
Il dipinto dal titolo “La Rêve” (“Il sogno”) del post-impressionista francese Henri Julien Félix Rousseau.
Il dipinto dal titolo “La Rêve” (Il sogno”) del post-impressionista francese Henri Julien Félix Rousseau.
Un altro quesito aperto è quello inerente alla relazione tra sogno e emozioni. E’ un dato di fatto che i nostri sogni coinvolgono molte emozioni complesse quali la paura, il desiderio, la rabbia, l’amore, il desiderio sessuale (è stato rilevato, ad esempio, che circa il 10% dei sogni hanno contenuti esplicitamente sessuali). Sogniamo forse quello che desideriamo? O quello di cui abbiamo paura? Qual è il ruolo della sessualità?
Purtroppo all’attuale stadio di sviluppo della giovane neuroscienza dei sogni questi quesiti sono ancora privi di una risposta definitiva. Tuttavia i dati attualmente a disposizione lasciano pensare che la vita onirica sia molto più simile a quella reale di quanto possiamo immaginare. Uno degli aspetti più enigmatici della fase REM e del sogno in generale, infatti, è che mentre la fase REM è fisiologicamente differente rispetto alle altre fasi del sonno, l’attività neuronale durante questa fase è in grande misura identica all’attività durante le ore di veglia. Questo ha condotto vari neuroscienziati, tra cui David Myers, a riferirsi spesso alla fase REM con l’epiteto di “sonno paradossale”.
In altre parole è come se durante il sogno il nostro cervello non facesse grosse distinzioni tra il sonno e la veglia. Come se il sogno, per molti aspetti, equivalesse alla realtà.